SCIENZA E NATURA

SILVANO FUSO


Nel primo intervento di questa rubrica1, avevamo affrontato il problema dell'atteggiamento antiscientifico che sta preoccupantemente diffondendosi nelle società avanzate. Tale atteggiamento è particolarmente frequente all'interno di quei movimenti culturali che si propongono come obiettivo la difesa dell'ambiente e, in generale, della natura. Si tratta di movimenti piuttosto eterogenei all'interno dei quali è possibile trovare posizioni alquanto diverse. È quindi soltanto per una questione di semplicità che ci riferiremo a essi chiamandoli genericamente "ambientalisti". Costoro spesso vedono nella scienza e, in particolare nel progresso scientifico-tecnologico, un pericolo che deve essere in qualche modo controllato e limitato.

Nel presente articolo vogliamo analizzare meglio i rapporti tra scienza e natura e alcune posizioni tipiche dei movimenti ambientalisti.

Gli obiettivi della scienza

La scienza modernamente intesa può essere considerata l'erede culturale di quella posizione filosofica, sviluppatasi nell'antichità, che ricerca nello studio della phýsis la via per comprendere la realtà, contrariamente a quanto aveva fatto il pensiero mitico che si affidava alla fantasia e alla immaginazione. Il termine phýsis, seguendo la tradizione latina, può essere tradotto con natura, anche se, in greco antico, significava più propriamente nascita, con riferimento al principio e all'origine di tutte le cose. In questo senso la scienza per eccellenza è rappresentata dalla fisica, che ha proprio come oggetto di studio la phýsis, intesa come insieme di tutto ciò che ci circonda.

Almeno nei suoi obiettivi, quindi, la scienza non appare affatto in contrasto con la natura, visto che trova in quest'ultima il proprio oggetto di studio. La contrapposizione nasce, casomai, dagli aspetti applicativi legati alla scienza. Le conoscenze che la scienza produce vengono, infatti, impiegate dall'uomo per manipolare a proprio vantaggio la realtà naturale. Nel passato l'impatto ambientale legato alle attività tecnologiche umane era piuttosto limitato. Al giorno d'oggi esso ha raggiunto dimensioni considerevoli e le sue conseguenze non possono più essere ignorate. Il fatto curioso è che la maggior parte dei rischi legati a tale impatto sono stati evidenziati dalla scienza stessa. Molti di essi, infatti, non sono per nulla evidenti (pensiamo all'effetto serra o al cosiddetto "buco dell'ozono") ed è stato possibile individuarli solamente attraverso accurate indagini scientifiche. Basti pensare che la stessa ecologia, che è divenuta la bandiera dei movimenti ambientalisti, altro non è che una disciplina scientifica.

Le ragioni ambientaliste

Come già accennato all'interno dei movimenti ambientalisti convivono posizioni alquanto diverse e non necessariamente l'atteggiamento antiscientifico è una loro caratteristica distintiva. Per cercare di fare un po' d'ordine è forse utile analizzare le posizioni filosofiche da cui tali movimenti traggono ispirazione.

Le filosofie di ispirazione ambientaliste hanno in comune la messa in discussione dell'antropocentrismo assoluto che ha caratterizzato la cultura occidentale fino ai nostri giorni. La posizione antropocentrica presuppone che l'uomo non abbia alcun obbligo morale se non nei confronti dei propri simili e, all'interno delle tradizioni religiose, nei confronti di Dio. Tutto ciò che non è uomo o Dio non necessità di alcun rispetto etico e l'uomo può servirsene a suo piacimento. La stessa Bibbia, che così grande influenza ha avuto sulla cultura occidentale, attribuisce all'uomo il ruolo di "signore del creato" e, come tale, gli conferisce la facoltà di disporre di tutto ciò che trova in natura2.

Le filosofie ambientaliste estendono le norme etiche al di là di ciò che è umano e si sviluppano sostanzialmente in due direzioni. Da un lato troviamo quella che viene definita ecologia profonda (deep ecology)3. Tale tendenza presuppone un atteggiamento completamente nuovo dal punto di vista assiologico nei confronti della natura. Lo slogan che caratterizza questa tendenza è quello secondo il quale "il nostro io ecologico non è limitato alla nostra pelle". La deep ecology propone sostanzialmente un recupero della visione prescientifica della natura e assume inevitabilmente atteggiamenti antiscientifici, giungendo a una sorta di sacralizzazione della natura.

Dall'altro lato troviamo quella che può essere definita ecologia di superficie4 che rappresenta una forma più moderata di atteggiamento ambientalista. Essa sottolinea la necessità di una modifica delle nostre concezioni nei confronti della natura, ma al tempo stesso mantiene una certa dose di antropocentrismo, poiché considera il rispetto dell'ambiente funzionale alla nostra stessa sopravvivenza.

Scienza e ambientalismo: compatibilità o conflitto?

Un esame obiettivo dei rapporti tra scienza e ambientalismo porta alla conclusione che in realtà non dovrebbe esistere nessun conflitto, ma al contrario dovrebbe esserci un rapporto di reciproca collaborazione. La scienza stessa sottolinea l'importanza della tutela ambientale. Uno dei principali risultati dell'ecologia consiste nell'avere evidenziato l'importanza degli equilibri, sia tra le varie specie viventi che tra queste ultime e l'ambiente, per la salvaguardia della vita stessa. Ogni violazione di tali equilibri ha necessariamente conseguenze disastrose. Di conseguenza le posizioni delle correnti ambientaliste che si ispirano alla cosiddetta ecologia di superficie sono sicuramente in buona parte condivisibili. Al contrario certe posizioni che caratterizzano la deep ecology appaiono sostanzialmente troppo estremiste e, in ultima analisi, irrazionali. La sacralizzazione della natura tipica di certe posizioni estremiste appare una forma di dogmatismo fondamentalista, addirittura contrario a ciò che la stessa ecologia ci insegna. L'antropocentrismo che caratterizza il comportamento umano è, infatti, perfettamente coerente con una tendenza che si ritrova in tutto il mondo biologico. Ogni specie tende a privilegiare i propri simili a discapito delle altre specie. Per usare l'interpretazione di Dawkins5, ogni "gene egoista" tende a riprodurre se stesso. Negare ciò in nome di una generica moralità superiore significa rifiutare la realtà. Inoltre non è affatto vero che tutto ciò che è naturale sia necessariamente buono. Esiste un'infinità di cose perfettamente naturali che sono estremamente dannose non solo per l'uomo, ma anche per numerose altre specie viventi.

I maggiori eccessi delle posizioni ambientaliste si ritrovano nel campo della tutela dei diritti degli animali. Gli animalisti sostengono la necessità di attribuire agli animali i diritti che generalmente sono (o dovrebbero essere) riconosciuti agli uomini. Alla base di questa posizione vi è la considerazione del filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham6 secondo la quale, con riferimento agli animali, "Il problema non è: possono ragionare? Né: possono parlare? Ma: possono soffrire?". Su queste basi è stata stilata "La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Animale"7. In tale dichiarazione, ad esempio, si legge: "L'uomo, in quanto specie animale, non può attribuirsi il diritto di sterminare gli altri animali, o di sfruttarli violando questo diritto", oppure: "Ogni animale appartenente ad una specie selvaggia ha il diritto di vivere libero nel suo ambiente naturale, terrestre, aereo o acquatico e ha il diritto di riprodursi".

Ora, penso che ben poche persone non condividerebbero tali affermazioni se ci riferiamo alle tigri, ai panda o al nostro cane (…a proposito sto scrivendo con il mio bassotto accoccolato sulle ginocchia). Ma se ci riferiamo invece alle zecche o al plasmodio della malaria (che ha come ambiente naturale il sangue dell'uomo), quanti di noi se la sentirebbero di sottoscrivere questa dichiarazione? (…per quanto riguarda le zecche, sicuramente neanche il mio bassotto la sottoscriverebbe). Eppure anche la zecca e il plasmodio sono animali a tutti gli effetti. D'altra parte, in base a quale criterio si può stabilire a quali animali la suddetta dichiarazione non può applicarsi? Queste sono difficoltà reali che gli animalisti non sembrano prendere in considerazione, impegnati come sono nel diffondere una nuova moralità non antropocentrica.

Il discorso diventa tema di scontro ideologico quando ci si riferisce alla sperimentazione animale. Contrariamente a quello che sostengono gli animalisti, attualmente non esiste, in campo medico, una metodologia valida in grado di sostituire la sperimentazione in vivo su animali superiori (ciò non significa, ovviamente, che essa non abbia dei limiti di validità, ben conosciuti dagli stessi ricercatori). Per quanto questa tecnica sia indubbiamente crudele, essa è però un male necessario. È sacrosanto reprimere ogni abuso e ogni ricorso a essa che non sia strettamente necessario, ma non si può pretendere di eliminarla completamente, finché non si troverà un'alternativa sufficientemente efficace. Senza sperimentazione animale moltissimi progressi effettuati in campo medico non sarebbero stati possibili. Quanti animalisti rinuncerebbero a questi progressi? Quanti di loro accetterebbero di sacrificare un proprio congiunto per risparmiare sofferenze a una cavia o a una scimmia?

Se osserviamo la natura stessa, ci rendiamo conto che nessuna specie può sopravvivere senza procurare danno all'ambiente e/o alle altre specie. L'intera natura si regge su straordinari equilibri che però, purtroppo, sono spesso in netto contrasto con le nostre idee di moralità. Può non piacerci, ma questa è la realtà e negarla significa assumere un atteggiamento cieco e irrazionale.

Molti ambientalisti hanno una visione sostanzialmente manichea e sembrano credere all'idea di una morale assoluta e universale cui ispirare il proprio comportamento. Tale posizione, tipica dei fondamentalisti, non tiene conto che la morale è un concetto strettamente legato all'ambiente e alle condizioni di vita. Il fatto stesso che nella nostra società nascano movimenti che sostengono i diritti degli animali è un lusso che ci possiamo permettere grazie alle condizioni di benessere che abbiamo raggiunto. Questo benessere lo dobbiamo in gran parte alla stessa scienza e alla tecnologia che tanti ambientalisti sembrano disprezzare. Anche l'animalista più convinto, se si trovasse in una foresta in preda ai morsi della fame, probabilmente non esiterebbe un solo istante a uccidere un animale per nutrirsene.

Conclusioni

A conclusione di quanto abbiamo detto, possiamo affermare che tra scienza e natura non sembra esistere nessuna contraddizione. Probabilmente lo stesso processo che spinge l'uomo ad accrescere la propria conoscenza sulla realtà è interpretabile in termini evolutivi, come progressivo adattamento all'ambiente8. I risultati che la scienza produce possono fornire fondamentali contributi alla salvaguardia dell'ambiente naturale e degli equilibri ecologici che lo caratterizzano. Come sempre, per un'analisi obiettiva dei problemi non bisogna ragionare in termini manichei, bensì in termini di rapporto benefici/rischi. Nessuna attività è completamente priva di conseguenze negative. La sopravvivenza stessa di un individuo comporta inevitabilmente dei danni all'ambiente e alle altre specie. La vita umana non può eludere questa realtà, anche se essa può apparire sgradevole ai nostri occhi. Il problema è limitare al massimo questi danni, compatibilmente con la qualità della vita degli individui esistenti (a questo proposito una strategia essenziale risulta il controllo demografico). Stesso discorso deve applicarsi al problema della sperimentazione animale. Essa è lecita solamente quando i benefici compensano le inevitabili sofferenze fisiche che essa comporta ai nostri poveri cugini animali (ed eventualmente quelle psicologiche che gli umani con animo sensibile provano di fronte a esse).

Per quanto riguarda poi le critiche che gli ambientalisti rivolgono all'antropocentrismo, non si può che constatare che esso è, almeno in parte, inevitabile: ogni specie difende se stessa. Occorre però anche sottolineare che una delle attività umane meno antropocentrica è proprio la scienza. Essa ha progressivamente scalzato l'uomo da quella posizione privilegiata che la cultura prescientifica gli aveva attribuito, ricollocandolo semplicemente all'interno del mondo biologico come una delle tante specie che si sono casualmente evolute sulla superficie del nostro pianeta.

Riferimenti e note

1) S. Fuso, "L'atteggiamento antiscientifico", Scienza & Paranormale n. 17, anno VI, 1998;

2) Nel Genesi, ad esempio, si legge: "E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra" (Genesi, 1-26);

3) Principali teorici della deep ecology sono Warwick Fox e Arne Naess. Si veda, ad esempio: W. Fox, "The Deep Ecology-Ecofeminism Debate and Its Parallels", Environmental ethics 1989,11, n. 1, pp. 5-25. A. Naess, Ecology, Community and Lifestyle: Outline of an Ecosophy. University Press, Cambridge 1989 (traduzione italiana in: A.Naess, Ecosofia - Ecologia, società e stili di vita, RED Edizioni, 1994);

4) Principali teorici dell'ecologia di superficie sono John Passmore e Kristin Shrader-Frechette. Si veda, ad esempio: J. Passmore, Man's Responsibility for Nature: Ecological Problems and Western Traditions, Charles Scriber's Sons, New York 1974 (traduzione italiana in: J. Passmore, La nostra responsabilità per la natura Feltrinelli, Milano 1986). K. Shrader-Frechette, S. Dristen, Environmental Ethics, Boxwood Press, Pacific Grove, Calif. 1981;

5) R. Dawkins, Il gene egoista, Zanichelli, Bologna 1979;

6) J. Bentham, Introduction to the Principles of Morals and Legislation, London, 1789;

7) La "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Animale" venne consegnata nel 1978 al direttore dell'UNESCO, presso la sede di Parigi, dalla Lega Internazionale dei Diritti dell'Animale e dalle varie leghe nazionali. Il documento non ha tuttavia ottenuto finora nessun riconoscimento giuridico. La dichiarazione, insieme a numerosi interventi "animalisti", può essere letta in: AA.VV., I diritti degli animali (atti del Convegno Nazionale- Centro di Bioetica- Genova 23-24 maggio 1986), Le. A. L. Editrice, Milano 1991;

8) Si veda, ad esempio: K. Lorentz, L’altra faccia dello specchio: per una storia naturale della conoscenza, Adelphi, Milano 1974.