PERCHÈ LA SCIENZA NON È INFALLIBILE

SILVANO FUSO


Chi difende la mentalità scientifica e ritiene che essa sia un irrinunciabile modo di pensare per comprendere il mondo, si sente spesso accusare di eccessiva presunzione e ristrettezza di vedute.

La scienza viene incolpata di essere troppo sicura delle proprie affermazioni e di snobbare immodestamente altre forme culturali. In nome di un esasperato pluralismo e di un'apparente liberalità e democraticità, coloro che sono diffidenti nei confronti della scienza rivendicano la legittimità di altre vie per accedere alla realtà.

Per convalidare le proprie posizioni, i nemici della scienza citano spesso episodi in cui la comunità scientifica ha clamorosamente fallito, a causa di abbagli in buona fede o di pregiudizi, fino ad arrivare a casi di vero e proprio dolo da parte di scienziati più o meno illustri. Di recente sono pure stati pubblicati diversi libri1 che sottolineano questi aspetti meno nobili della ricerca scientifica.

Per chi conosce il modo in cui la scienza opera e si sviluppa, queste critiche, anziché rappresentare argomentazioni di fronte alle quali occorre arrendersi, suonano come ovvietà e sfondano, come si usa dire, una porta aperta.

Chi conosce la scienza sa benissimo che essa è tutt'altro che infallibile. Inoltre si rende perfettamente conto degli inevitabili limiti che le conoscenze scientifiche possiedono.

Scienza e falsificabilità

Nella corrente epistemologica nota con il nome di "neopositivismo" o "empirismo logico"2, dominante nei primi decenni del nostro secolo, si pensava che una caratteristica delle affermazioni scientifiche fosse la verificabilità. Un esponente di spicco di questo movimento, il fisico Moritz Schlick, formulò a tale proposito un vero e proprio principio di verificazione, secondo il quale il significato di una proposizione si identifica con il metodo della sua verifica.

Questa concezione venne ribaltata, intorno agli anni trenta, dal filosofo austriaco Karl Raimund Popper3. Egli parte da una lucida critica (in parte già anticipata dal filosofo scozzese David Hume4) del procedimento induttivo, che caratterizza buona parte dell'attività scientifica. Il procedimento induttivo è quello attraverso il quale, partendo dall’esame di un numero finito di casi particolari, si cerca di raggiungere una conclusione universale. Questo procedimento non è giustificabile dal punto di vista strettamente logico. Esso può portare solamente ad affermazioni generali che hanno un carattere probabilistico e non di certezza.

Tuttavia se un numero finito di esempi non può giustificare un'affermazione universale, è sufficiente un solo controesempio per dimostrarne la falsità. Se io, ad esempio, affermo: "Tutti i cigni sono bianchi", l’osservazione di 100, 1000, 10000, ecc. cigni bianchi non mi permetterà mai di essere assolutamente sicuro della verità della mia affermazione. Tuttavia, è sufficiente che io osservi un solo cigno nero, per dimostrare la falsità della mia affermazione universale.

Con queste argomentazioni Popper respinge il principio di verificazione di Schlick e lo sostituisce con il suo principio di falsificabilità. Secondo tale principio un'affermazione è scientifica se e solo se è in grado di suggerire quali esperimenti e osservazioni potrebbero dimostrarla falsa. Se una affermazione non può mai essere falsificata dall’esperienza, vuol dire che non ha alcun rapporto con essa e, come tale, non può essere considerata scientifica. Il principio di falsificabilità rappresenta pertanto un utile criterio di demarcazione tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è, ma può essere mito, religione, metafisica, ideologia, ecc.

Il ruolo della critica nella scienza

Il principio di falsificabilità di Popper trova un'evidente applicazione nella corrente pratica scientifica. Una teoria o un'affermazione scientifica deve essere sottoposta a tutti i possibili tentativi di falsificazione. Essa viene ritenuta "vera" fino a quando riesce a resistere a questi tentativi. Di conseguenza l'attività degli scienziati, se da un lato consiste nel raccogliere nuovi dati e nel formulare nuove teorie, dall'altro, si svolge nel cercare di falsificare le teorie e le affermazioni altrui. Quindi, in ambito scientifico, il ruolo della critica reciproca è di fondamentale importanza. Requisito indispensabile per consentire tale critica è, ovviamente, la circolazione delle idee e quindi la comunicazione all'interno della comunità scientifica. Questa comunicazione avviene sostanzialmente attraverso le pubblicazioni specialistiche e in occasione dei congressi.

Quando un ricercatore trova nuovi dati o elabora una nuova teoria si affretta a scrivere un articolo e a inviarlo a una rivista specializzata. Il ruolo delle riviste è molto importante poiché, attraverso di esse, altri ricercatori possono essere informati sulle attività dei colleghi di tutto il mondo. Tuttavia se le riviste pubblicassero qualsiasi cosa senza alcun controllo, si verrebbe rapidamente a creare una situazione di notevole confusione e disagio. Per questo motivo le riviste stesse esercitano una prima azione critica. Prima di procedere alla pubblicazione di un articolo, infatti, esse lo inviano a un certo numero di ricercatori esperti nel settore in cui rientra il contenuto dell'articolo, per chiedere loro un parere. Tali esperti vengono chiamati tecnicamente referees (letteralmente arbitri) e rimangono assolutamente anonimi per l'autore dell'articolo, per evitare il rischio di contatti ed eventuali pressioni a livello personale. Se il giudizio dei referees è positivo, la rivista procede alla pubblicazione. In caso contrario, l'articolo viene restituito all'autore, unitamente alle critiche dei referees. A questo punto l'autore può accettare le loro critiche e i loro eventuali consigli, apportando modifiche, oppure, in taluni casi, può richiedere che vengano interpellati altri referees. Nuovi esperti vengono anche contattati nel caso in cui i giudizi dei primi referees siano tra loro contraddittori. In ambito scientifico le riviste più prestigiose sono quelle che hanno un migliore e più severo sistema di controllo.

Anche i congressi scientifici sono caratterizzati dallo stesso clima di critica reciproca. Quando un ricercatore presenta pubblicamente la relazione sul lavoro da lui condotto, viene tempestato di domande, obiezioni, osservazioni o vere e proprie contestazioni. Solamente se i dati e le teorie che presenta sono adeguatamente fondati, egli riesce a controbattere le critiche dei colleghi.

Questa atmosfera di critica esasperata può dare l'impressione che gli scienziati siano degli irriducibili rissosi sempre pronti a godere dei fallimenti altrui. Naturalmente nella comunità scientifica, come in tutte le comunità umane, si può incontrare ogni sorta di tratti caratteriali, positivi o negativi. Quel che importa è che questa continua critica rappresenta un efficacissimo sistema di controllo, che consente la sopravvivenza solamente alle teorie e alle affermazioni più saldamente fondate.

Umiltà della scienza

L'accusa di presunzione e di arroganza rivolta alla scienza è assolutamente infondata. Tra le attività umane essa è sicuramente la più umile. Innanzi tutto la scienza è perfettamente consapevole dei confini del proprio dominio di competenza: la sua stessa nascita, come abbiamo ricordato in un articolo precedente5, nasce da un atto di umiltà. Inoltre anche il modo in cui opera è costantemente caratterizzato dalla consapevolezza dei propri limiti.

Ogni affermazione scientifica, infatti, non è mai assoluta, ma è sempre e costantemente accompagnata dalla specificazione dell'ambito in cui essa è ritenuta valida. Questo può essere facilmente constatato a diversi livelli. I dati sperimentali, ottenuti mediante misure, devono essere necessariamente accompagnati dall'entità dell'incertezza con la quale essi sono stati determinati (errore). Una teoria deve essere enunciata obbligatoriamente insieme agli intervalli di valori delle variabili coinvolte, all'interno dei quali essa è valida. In nessun'altra attività umana si osserva questa cura e meticolosità nel sottolineare i limiti delle proprie affermazioni. Come ha di recente affermato il compianto Carl Sagan: "Proviamo a immaginare una società in cui ogni discorso pubblicato negli atti del parlamento, ogni pubblicità televisiva, ogni sermone fosse accompagnato dall'indicazione del margine di errore"6. E' una eventualità che è difficile solo pensare: eppure nella scienza questa è la norma. E' inoltre piuttosto curioso che tra coloro che accusano la scienza di presunzione e sicumera vi siano soprattutto quegli individui che più di ogni altro credono di avere certezze e verità infallibili.

Conclusioni

Da quanto è stato fin qui esaminato dovrebbe risultare chiara una constatazione. La scienza è tutt'altro che infallibile e ne è perfettamente consapevole. Tuttavia essa, per gli ambiti che le sono propri, rappresenta sicuramente il migliore strumento di conoscenza di cui l'uomo dispone, soprattutto perché possiede la straordinaria capacità di correggere continuamente i propri errori. Essa non fornisce verità assolute ma risultati che, con tutti i loro limiti e le loro incertezze, consentono di conoscere la realtà e di dominarla in modo efficace.

Quale altra attività umana riesce a fare di meglio? In quale altro modo è possibile raggiungere certezze assolute? E' inutile disprezzare la scienza, se l'umanità non è ancora riuscita a trovare qualcosa di meglio, che non sia però semplice illusione. A questo proposito suonano particolarmente significative le parole di Giuliano Toraldo di Francia che, a proposito della presunta perdita di certezze e di valori che caratterizzerebbe, secondo alcuni, la nostra epoca, afferma:

"…non viene in mente a nessuno che forse si stia piangendo la perdita di cose che in realtà non ci sono mai state, di concetti costruiti solo per la volontà di deplorare i "mali" della nostra epoca?"7.

Riferimenti

1) In edizione italiana sono state pubblicate, ad esempio, le seguenti due opere: A. Kohn, Falsi profeti, Zanichelli, Bologna 1991 e F. Di Trocchio, Le bugie della scienza, Mondadori.Milano 1983;

2) Una trattazione esauriente delle varie correnti epistemologiche, con particolare attenzione all'empirismo logico, si può trovare in: D. Oldroyd, Storia della filosofia della scienza, Il Saggiatore, Milano 1989 e in: D.Gillies e G. Giorello, La filosofia della scienza del XX secolo, Laterza, Roma-Bari 1995;

3) Popper sviluppa questa concezione nella sua opera più celebre: K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970;

4) Questo argomento è stato affrontato da Hume soprattutto nel suo Teatise on Human Nature (1739-1740), (trad. it. a cura di A.Carlini e E. Lacaldano, in: D. Hume, Opere filosofiche, vol.I., Laterza, Roma-Bari 1993);

5) S. Fuso, "Scienza, metafisica e valori", Scienza &Paranormale n n. 20-VI, 1998;

6) C. Sagan, Il mondo infestato dai demoni, Baldini & Castoldi, Milano 1993 (p.68);

7) G. Toraldo di Francia, "Il mito della verità approssimata", in AA.VV., Scienza e filosofia alle soglie del XXI secolo (atti del convegno organizzato a Milano il 6 ottobre 1995 a cura della rivista Le Scienze), LE SCIENZE S.p.A. Editore, Milano 1996 (p.35).